Onorevoli Colleghi! - Sino ad oggi due sono le principali strade percorse nell'affrontare l'annoso problema della assistenza psichiatrica: la deistituzionalizzazione e l'istituzionalizzazione.
      Sotto varie forme, con differenti approcci e argomentazioni, la discussione sembra alla fine ricadere solo e unicamente entro questi limiti, inducendo con la contrapposizione di due schieramenti una rischiosa politicizzazione del dibattito.
      Non si può negare che la legge n. 180 del 1978 e i successivi interventi legislativi abbiano cancellato quasi completamente l'orrore dei manicomi - e sottolineo il quasi - ma è altrettanto necessario osservare la crescente protesta dei familiari delle persone ritenute «insane di mente», che praticamente si sono trovati e si trovano costretti quotidianamente a vivere in situazioni di difficile e, in alcuni casi, impossibile gestione della convivenza. Tali difficoltà di convivenza sono, al tempo stesso, con estrema frequenza, rilevate dalle stesse persone ritenute «insane di mente».
      Inoltre alcuni temi fondamentali sembrano essere costantemente trascurati o affrontati solo parzialmente.
      Il primo tema è quello dei diritti umani.
      La situazione attuale non è certo scevra o immune da tali violazioni: il rapporto dell'Assemblea parlamentare del Consiglio europeo del 15 marzo 1994, documento 7040, sulla psichiatria e sui diritti umani, riferisce che in psichiatria sono comuni le seguenti violazioni: abusi sessuali, umiliazioni, intimidazioni, negligenza, maltrattamenti.

 

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      Il secondo tema è quello della qualità dei livelli di assistenza. Se è vero che vogliamo migliorarli, non possiamo allora prescindere dal definirli in modo dettagliato, poiché il problema non è solo «dove» (se a domicilio o in una comunità) le cose si fanno, bensì «cosa» si fa. L'esperienza e la clinica medica possiedono validi strumenti per definire standard precisi, che a livello legislativo devono essere almeno introdotti come principio.
      Il terzo tema, che la politica in quanto responsabile della gestione pubblica non può dimenticare, è quello dei «costi».
      È bene qui ricordare che una sanitarizzazione di massa, così come si otterrebbe impostando l'impianto legislativo unicamente sulla «obbligatorietà delle cure», riguarderebbe almeno 100.000 cittadini italiani (ma secondo autorevoli stime questa cifra potrebbe anche raddoppiare nel corso di pochi anni). Se moltiplichiamo il costo assistenziale giornaliero medio (pur utilizzando parametri molto bassi, cioè 150 euro/die), per 365 giorni, per 100.000, otteniamo una cifra di spesa annua di circa 5 miliardi e mezzo di euro.
      Per questi motivi ogni proposta che si indirizzi semplicemente verso l'istituzionalizzazione o verso la deistituzionalizzazione è destinata a fallire; anche con le nuove forme di istituzionalizzazione di cui si parla, in luoghi piccoli, puliti, con le cure e il decoro adeguati.
      A tale proposito è opportuno, anche in considerazione del fatto che apparentemente tutti si dichiarano contrari alla reintroduzione dei manicomi, definire esattamente cosa sia in effetti il manicomio o il modello manicomiale, poiché pare che taluni lo identifichino semplicemente con un luogo sporco e di vaste dimensioni.
      La migliore definizione di manicomio è indubbiamente la seguente: «Un luogo ove persone che non hanno commesso reati, vengono tenute rinchiuse per mesi, anni o l'intera vita, perché dicono o fanno cose ritenute incomprensibili o irrazionali e dove coloro che li hanno rinchiusi affermano di averlo fatto per curarli».
      Possono quindi esistere manicomi grandi o piccoli, sporchi o puliti. Il superamento del manicomio non è pertanto ottenibile semplicemente riducendo il problema alle condizioni igienico-sanitarie e al numero dei degenti.
      Tra gli operatori, gli utenti e i familiari è salita la domanda di soluzioni alternative, di un cosa fare, di un come fare che sia diverso e non ricalchi le orme di un passato nefasto.
      La domanda è quindi se esista la possibilità di costruire quell'ipotetico percorso che possa portarci, senza traumi insostenibili, al raggiungimento di un così ambizioso obiettivo.
      Si ritiene che sia possibile rispondere affermativamente, ma, è bene precisarlo sin d'ora, anche che tali risposte richiedono un impegno prolungato e meticoloso. Si tratta di un percorso, di un procedere verso la direzione giusta, che richiede tempo e dedizione.
      Esistono sul territorio nazionale vari modelli di comunità (poche purtroppo) - dal Piemonte al Friuli e sino alla Sicilia - che hanno organizzato modelli assistenziali differenti. Individuando le risorse inutilizzate (anche immobiliari) dei comuni e delle aziende sanitarie locali e scoprendo quali attività lavorative erano necessarie nella zona, hanno aperto piccole e medie aziende agricole, locande, bar, falegnamerie, laboratori di maiolica artigianale, stabilimenti di itticoltura, eccetera, coinvolgendo i pazienti come lavoratori in queste attività e fornendo loro un alloggio presso le sedi delle cooperative.
      I pazienti hanno avuto la possibilità di scegliere tra numerose sistemazioni, attività e mansioni, trovando essi stessi quanto meglio a loro si confaceva.
      Ci si è poi rivolti agli anziani alloggiati negli ospizi, offrendo loro la medesima possibilità; infine la stessa offerta è stata fatta ai giovani disoccupati del luogo.
      In questo modo si sono formati nuovi posti di lavoro e si è evitato di creare comunità e attività ghetto (la locanda dei matti o la cascina dei malati di mente) proseguendo in un percorso di inserimento sociale, non verso l'esclusione dalla società.
 

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      Le persone, pazienti, anziani, giovani, volontari, che lavorano in queste aziende guadagnano e mantengono se stessi e l'attività cooperativa, con un costo per il Servizio sanitario nazionale ridotto rispetto a quanto avveniva prima.
      Risultato? I trattamenti sanitari obbligatori non sono quasi più necessari, le «crisi psicotiche» avvengono in misura drasticamente ridotta, i farmaci somministrati per controllare il comportamento sono stati diminuiti fino al 90 per cento.
      È compito della politica raccogliere queste esperienze, le azioni che hanno condotto a veri risultati, ben diversi dal semplice controllo sociale o dal far «stare tranquillo» chi ci disturba. Quelle citate sono «buone prassi» certamente esportabili con successo.
      In questa sede è anche necessario decidere se l'utente psichiatrico è solamente un paziente, succube ed eventualmente da segregare, o se è anche un cittadino libero che cerca di risolvere i propri problemi, protagonista dei propri cambiamenti.
      Nel primo caso forzeremo la persona verso passività e rassegnazione (incrementando inoltre le possibilità di violenza), nel secondo verso attività, riscatto e riabilitazione. Ritengo sia opportuno perseguire la seconda scelta, che ha dimostrato di riuscire ad affrontare e risolvere i problemi sul campo e non solo in base ad un approccio ideologico.
      Illustri colleghi, non è possibile assicurare che tramite questi mezzi tutti «ce la faranno», ma avremo dato a tutti la possibilità di farcela o almeno avremo fornito loro la possibilità di proseguire il loro cammino nella vita, in modo decoroso e degno di una vera società civile.
      La presente proposta di legge si prefigge di riorganizzare il sistema nazionale per la salute mentale, introducendo modifiche atte a raggiungere gli obiettivi precedentemente illustrati, e di garantire il rispetto dei diritti umani degli utenti dei servizi psichiatrici, nonché quelli dei loro familiari.
      L'articolo 1 illustra tali finalità e al comma 3 introduce, per la prima volta, l'obbligo di stabilire standard qualitativi inerenti la qualità degli immobili, l'organizzazione, le attività svolte, l'assistenza medica nonché il rispetto dei diritti umani.
      L'articolo 2 istituisce e definisce i dipartimenti di salute mentale (DSM) e i loro servizi principali. Definisce inoltre i compiti dei DSM e alla lettera h) del comma 9 istituisce strutture di accoglienza ed ascolto per cittadini in situazioni di grave e temporaneo disagio mentale. L'istituzione di questi centri risponde alle crescenti istanze rilevate da ognuno di noi sul territorio, in relazione a tutte le forme di disagio.
      Ai commi 10 e 11 sono istituite strutture residenziali di assistenza ad alto livello di protezione dove potranno trovare ospitalità i soggetti affetti da gravi psicopatologie ed eventualmente i malati destinati all'ospedale psichiatrico giudiziario non condannati per gravi delitti contro le persone e su parere del magistrato competente.
      Tale dispositivo potrà permettere di scontare la pena nelle sopraccitate strutture ad alta protezione per quei soggetti destinati oggi all'ospedale psichiatrico giudiziario, che di fatto hanno commesso delitti minori ed eviterà al contempo la convivenza di questi e di persone portatrici di gravi psicopatologie, con soggetti ritenuti ad alto rischio di reato.
      L'articolo 3 provvede ad assicurare la continuità terapeutica e progetti terapeutici individualizzati.
      L'articolo 4 istituisce la figura del garante del paziente psichiatrico e ne precisa compiti e funzioni.
      L'articolo 5 definisce le precise modalità e le garanzie di tutela dei diritti fondamentali con le quali deve essere attuato ogni genere di trattamento sanitario obbligatorio. Si ricorda, in proposito, che su questo tema si contrappongono due esigenze: da un lato tutelare i cittadini da ogni possibile abuso in relazione ad interventi che ne limitano la libertà personale (non si tratta quindi di un limite a diritti secondari), abusi purtroppo non infrequentemente riscontrati; dall'altro la necessità di poter intervenire con celerità,
 

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laddove necessario, al fine di prevenire potenziali drammatiche conseguenze.
      L'articolato risponde pienamente ad entrambe queste esigenze, garantendo rispetto dei diritti, facoltà di difesa da ingiustizie e iniquità e al contempo possibilità di rapidità d'intervento, come risulta dalla lettura dei commi di questo articolo.
      Sino ad oggi, eventuali possibilità di difesa del cittadino sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio potevano avvenire solo a posteriori. Si ricorda che il nostro ordinamento giuridico prevede notevoli garanzie relative alla possibilità della sottrazione della libertà personale, per i criminali. Gran parte dell'intero e relativamente complesso codice di procedura penale è stata prevista proprio per tale ragione. Garantire almeno una minima possibilità di difesa, nei confronti di cittadini non accusati di reati, è quanto meno doveroso.
      Per quanto attiene al comma 6, che illustra il trattamento sanitario obbligatorio, pur precisando che questo è rinnovabile, in considerazione del fatto che la durata media di tale trattamento rilevata oggi sul territorio nazionale, risulta aggirarsi intorno ai dieci giorni, si è stabilito un limite massimo di un mese.
      L'articolo 6 precisa le sanzioni per eventuali abusi nella pratica del trattamento sanitario obbligatorio dovuti ad interesse personale od ingiusta causa.
      L'articolo 7 definisce precisi diritti dei pazienti e dei loro familiari in relazione al lavoro, alla risoluzione di situazioni di impossibile convivenza, alla libera scelta del medico e delle strutture nonché all'associazionismo.
      L'articolo 8 stabilisce che le strutture per eventuali trattamenti sanitari obbligatori siano a sola gestione pubblica e prevede specifici criteri per i rapporti tra regioni, province autonome di Trento e di Bolzano, DSM e strutture pubbliche e private.
      L'articolo 9 istituisce le agenzie per la tutela della salute mentale e ne definisce composizione, organizzazione e compiti.
      L'articolo 10 precisa i compiti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano in materia di controllo della qualità e della spesa nell'assistenza sanitaria per la salute mentale.
      L'articolo 11 definisce la destinazione degli immobili degli ex ospedali psichiatrici e facilita la destinazione di nuovi immobili per la prevenzione, il recupero e il reinserimento, anche lavorativo, delle persone affette da disturbi mentali.
      L'articolo 12 stabilisce i rapporti tra le università ed i DSM.
      L'articolo 13 prevede che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedano alla istituzione dei DSM nei rispettivi territori.
      L'articolo 14 definisce gli interventi atti a ridurre il disagio mentale nell'infanzia.
      L'articolo 15 contiene le norme finanziarie relative alla copertura dell'onere derivante dall'attuazione della legge.
      L'articolo 16 reca abrogazioni di disposizioni della legge n. 833 del 1978.
      L'articolo 17, infine, reca la data di entrata in vigore della legge.
 

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